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Le olive

Un viaggio millenario tra mito, storia e sapore
25.10.2018
9 min.
Arriva ottobre. I primi freddi, e la natura si veste di rossi e gialli caldi. Per gli agricoltori di molta parte d’Italia, è un momento tanto impegnativo quanto delicato, che arriva poco dopo la vendemmia: la raccolta delle olive.
Nei campi si respirano gesti antichi. Le grandi reti stese alla base degli alberi sono pronte ad accogliere le drupe. Gli strumenti per la raccolta sono poggiati ai tronchi. Il lavoro, per ottenere la miglior qualità, dev’essere preciso. Le olive dovranno arrivare al frantoio ed essere lavorate entro 12-48 ore, per mantenere la loro fragranza, sia che diventino delizie da piluccare o olio.

Sempre e comunque golose - olive da mensa e da olio

In Italia, la produzione di olive si concentra nelle regioni meridionali: Calabria, Sicilia e soprattutto la Puglia hanno grandi raccolti, ma buona parte della penisola centrale – famosi per l’eccellenza sono ad esempio gli oli Toscani e Liguria - contribuisce a quella che è la seconda produzione di olive al mondo, che insieme alla spagnola fornisce il 65% della produzione mondiale.

Le drupe hanno forma ovoidale, buccia liscia, dimensioni variabili e un colore inizialmente verdastro che con la maturazione diventa nero/violaceo, di pari passo con il sapore, via via meno intenso e più dolce. È questa evoluzione a definire il tempo della raccolta, calibrato anche sulle finalità della coltivazione. L’olivicoltura può essere infatti volta alla produzione di olio, per il quale spesso s’impiegano varietà più piccole, o di olive da mensa, spesso precoci, solitamente più grandi e ricche di polpa. Un dato stupisce: solo il 2% delle nostre coltivazioni è espressamente di olive da tavola, per quanto in Europa deteniamo il primato come consumatori. Morbide e succose, verdi o nere, le nostre varietà da mensa hanno talvolta nomi che ne preannunciano la gradevolezza alla vista e al palato: Bella di Cerignola, Ascolana tenera, Nocellara del Belice, Sant’Agostino, Taggiasca, Carolea.

La calabrese Carolea è tra le più versatili, ottima sia per il consumo diretto sia per la produzione di olio. Nel periodo autunnale è regina di un’assoluta delizia sott’olio, le “olive ammaccate”, dagli irresistibili aromi di finocchietto, aglio e peperoncino.
Grazie alla consistenza piena e al gusto rotondo, le olive verdi - su tutte la Bella di Cerignola, l’Ascolana tenera e la Sant’Agostino - si prestano ad antipasti e aperitivi, ad arricchire pane e focacce o a farsi protagoniste di sfiziose ricette. Una per tutte? Le olive all’Ascolana: crosta croccante e deliziosa farcitura di tre tipi diversi di carne, tra i simboli della gastronomia marchigiana.

Il gusto più marcato rende le olive nere perfette per infinite preparazioni. La più celebre al mondo è forse la greca Kalamon, mentre, tra le italiane sono autentiche prelibatezze la lucana Majanica di Ferrandina, che passata in forno sprigiona avvolgenti note di liquirizia; l’oliva di Gaeta, perfetta per piatti come spaghetti alla puttanesca o baccalà alla napoletana; la Taggiasca e la Leccina, dal sapore e profumo intensissimi, che si sposano con molteplici primi piatti e preparazioni di carne e pesce.
Molte di queste varietà rendono magnificamente anche nella produzione di olio, come la siciliana Nocellara del Belice. Esistono però tipi espressamente destinati a questo: la Frantoio, di tradizione toscana, umbra e pugliese, la Coratina di Puglia, la Cima di Mola e di Melfi, la Moraiolo o la Pendolino. La loro raccolta richiede un’attenzione estrema al grado di maturazione. Se precoce, come si usa in Toscana, l’olio sarà straordinario per valori sensoriali, con sentori di erba, colore verde brillante, piccantezza al palato; una raccolta tardiva, al contrario, produrrà un olio di colore più tenue e sapore meno avvolgente.




Le olive e l’ulivo nella storia del Mediterraneo

Oggi la coltivazione delle olive è diffusa in ogni angolo del mondo, con piantagioni in California, Australia, Argentina, Sudafrica, e persino nel Regno Unito, ma l’ulivo e le olive rimangono un simbolo associato al paesaggio mediterraneo e alle civiltà che l’hanno popolato.
La pianta, Olea Europaea, è originaria del Caucaso, dove l’oleastro cresce spontaneo da epoche antichissime. L’archeologia ne attesta l’addomesticamento 5000 anni fa, quando gli antichi Cretesi avrebbero intrapreso la sua coltivazione, diffondendola poi nel Mediterraneo con valenze non solo alimentari, ma anche culturali e religiose.
Nei secoli, l’ulivo e i suoi frutti sono spesso stati associati anche alla presenza divina, e come simbolo di potenza, vittoria, protezione. Nel sofocleo “Edipo a Colono” l’ulino è: “Albero non piantato da mano d’uomo, che da sé ricresce, terrore delle lance nemiche, che in questa terra soprattutto germoglia: l’argenteo ulivo, che nutre i nostri figli. Nessun uomo..lo distruggerà sradicandolo con forza: ..lo tiene d’occhio.. Atena dagli occhi glauchi”.
Secondo il mito, proprio la dea Atena l’avrebbe donato ai futuri abitanti della città di Atene, potenza del Mediterraneo antico, divenendone patrona.
Prima di avventurarsi negli Inferi, perfino il possente eroe Eracle si cinge il capo con fronde d’ulivo, segnando per sempre il colore delle foglie: il suo sudore imprime la pagina inferiore con riflessi d’argento, i fumi dell’Ade scuriscono la superiore. D’ulivo era la sua clava, del solido tronco di quest’albero il letto di Ulisse, di fronde argentate il serto che coronava il capo dei vincitori nei Giochi Olimpici o in grandi battaglie.
Per gli antichi Romani l’ulivo era segno di un destino di grandezza: prerogativa di uomini illustri, nei tempi mitici della fondazione di Roma aveva protetto con la sua ombra la nascita di Romolo e Remo.
E oggi? La sua sacralità resta potente. Per l’Islam l’ulivo è l’asse del mondo nonché custode dei nomi di Dio, impressi sulle singole foglie. I Cristiani lo considerano simbolo dell’alleanza tra Dio e l’uomo, celebrata nella Domenica delle Palme. Secondo le Scritture, l’ulivo sorto sulla tomba di Adamo avrebbe fornito il legno per la croce di Cristo e, ben prima, il ramoscello che, riportato a Noè dalla colomba, annuncia la fine del diluvio. E il vangelo è pieno di riferimenti alle lampade a olio, spesso olio d’olivo di qualità inferiore, che per secoli hanno illuminato le case in tanta parte del Mediterraneo.




La ricetta di un successo millenario

Il ruolo che dall’antichità l’uomo riconosce all’ulivo è legato anche alla resistenza della pianta in condizioni di clima temperato e alla versatilità e qualità nutrizionale ed organolettica delle olive, suoi frutti.
I benefici della triade base della dieta mediterranea - grano, vite e ulivo - sono universalmente noti. La presenza di polifenoli, grassi monoinsaturi, vitamine e sali minerali fa in particolare delle olive un nutrimento straordinario, con effetti antiossidanti, antinfiammatori, ricostituenti e protettivi del sistema nervoso e cardiocircolatorio.
Tanti autori latini, tra cui Orazio, Petronio e Catone, narrano l’abitudine antica di consumarle durante la gustatio, equivalente del moderno antipasto. Durante l’impero, ci dice Marziale, venivano servite a ciclo continuo durante i pasti: in apertura, con uova e verdure, e nuovamente durante la conversazione e le bevute di fine cena.
Si consumavano crude, in ricette che attenuavano l’amaro e garantivano la conservazione: confetture, salamoia, la greca epityrum, a base di olive schiacciate, coriandolo, cumino, finocchio selvatico, ruta e menta.
Dagli antichi Cretesi ai Romani agli Ottomani fino ai popoli oltreoceano, le olive attraversano i secoli come piccole perle preziose, testimoni di come l’uomo sappia far tesoro della tradizione e dar vita a piccoli prodigi partendo dalle prelibate materie prime che la natura ci dona.
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