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Ginestrata

La zuppa afrodisiaca
21.08.2020
6 min.
La Toscana incanta per i suoi paesaggi collinari, il mare e il fascino dell’arte che l’arricchisce, la storia, i vini pregiati, la schiettezza della sua gente e molto altro ancora. Incanta anche per la cucina che offre. Tra le eccellenze vanta una gran varietà di zuppe: pietanze antiche e povere per definizione, fatte di pochi elementi semplici. Pare che il termine derivi dal gotico suppa, che stava ad indicare la fetta di pane che si usava mettere nelle ciotole prima di versarvi il brodo. Le zuppe toscane, in effetti, non vengono mai servite con riso o pasta, ma al massimo con crostini di pane. Tra le più famose zuppe di questa regione troviamo la ribollita e la pappa al pomodoro, ma ce ne sono tante altre, meno conosciute ma non meno rappresentative, tra cui proprio la ginestrata (o cinestrata): l’unica zuppa toscana senza pane. Nulla a che vedere, però, con le classiche zuppe e minestre a base di verdure, legumi, pane e pomodoro, espressione della ricca inventiva contadina e, nello stesso tempo, del contesto in cui sono nate. La ginestrata è di estrazione aristocratica! Scopriamola insieme.



Le origini di un piatto (quasi) dimenticato

Di origine rinascimentale, tipica della zona del Chianti e molto diffusa dalla Val di Chiana a Val d’Arno, la ginestrata toscana è una ricetta a cui in passato erano attribuite funzioni prodigiose: una sorta di medicina che veniva somministrata a feriti, ammalati e a quanti avessero bisogno di riacquistare le forze dopo un periodo di indisposizione. Nei secoli scorsi, poi, veniva persino donata alle coppie di novelli sposi per permettere loro di riprendersi dopo la prima notte di nozze! Spesso era proprio la madre dello sposo a regalarla alla nuora, per accoglierla in casa sua, riponendola all’interno di un piccolo vassoio ricavato da rametti di ginestra intrecciata; oppure veniva offerta ben calda a colazione, in segno propiziatorio, dai genitori della sposa al futuro genero la prima volta che lui si presentava in casa per chiederne la mano. Una zuppa beneaugurante e rinvigorente, dunque, al cui interno troviamo ingredienti dal forte potere ricostituente.
Composta da un tuorlo d’uovo sbattuto insieme ad un bicchierino di vin santo secco, aromatizzata con coriandolo, cannella, chiodi di garofano in polvere, noce moscata e diluita da una tazza di brodo caldo (preferibilmente di pollo), ha un gusto sapido e vellutato con un tocco dolce e molto particolare. Il suo colore giallo intenso è simile a quello dei fiori di ginestra dai quali prende il nome. Come già accennato all’inizio di questo racconto, a differenza di altri celebri piatti della tradizione regionale, quali ad esempio la panzanella, la ginestrata non nacque nelle umili abitazioni dei contadini, ma nelle ricche dimore dei nobili. Le spezie, infatti, erano costose e non certamente alla portata delle fasce più povere della società: la sua preparazione molto probabilmente cominciò tra il XV e il XVI secolo, quando in Europa, lungo la Rotta delle Spezie (la via marittima compresa tra Lisbona e l’arcipelago indonesiano delle Molucche) divennero più facilmente reperibili aromi come la cannella, chiodi di garofano, pepe...



Oggi la ginestrata viene realizzata molto raramente. La ritroviamo però nei testi di cucina di alcuni enogastronomi come Giovanni Righi Parenti e Paolo Petroni. Proprio Righi, nel suo libro La cucina toscana del 1995, definisce la ginestrata come una “crema speciale” e “un’antica pozione”. Nelle località della Toscana dove ancora viene servita si trovano anche alcune varianti della stessa zuppa. Nel Valdarno fiorentino, ad esempio, si preferisce dolcificarla con pochissimo zucchero e aromatizzare con cannella e noce moscata; mentre nel Chianti senese esiste una versione di ginestrata che è più rappresa (molto simile alle stracciatella) e arricchita con tutte le spezie tipiche del panpepato (o panforte) originario di Siena. Anche nella Valdichiana la ginestrata ha la sua variante: il quantitativo degli ingredienti viene raddoppiato e il tegamino viene messo a rapprendere in forno tiepido che lo rende una sorta di budino per poi servirlo su un piccolo vassoio fatto con i gambi della ginestra intrecciati come una stuoia, proprio come si faceva una volta! A Lucignano la ginestrata viene preparata e servita negli stand gastronomici in occasione della Maggiolata, festa che celebra l’arrivo della primavera con sfilate, cortei storici, bande musicali e carri allegorici fioriti. Durante questo periodo l’intero paese viene addobbato proprio con i fiori delle ginestre.
Insomma, che la proviate a fare in casa o che andiate a degustarla in questi luoghi affascinanti, non dimenticate di accompagnarla con un bel calice di vino rosso, magari proprio un Chianti e, perché no, brindare in allegria! In alternativa potete sempre provarla come il più classico dei “rimedi della nonna” per guarire più in fretta da raffreddore e malanni di stagione o per rimettervi in forze dopo una notte d’amore, come vuole la tradizione.
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